Intervista ad Andrea Laszlo De Simone
Scritto da il 5 Febbraio 2018
Negli ascolti dei più sensibili al panorama della nuova musica d’autore italiana, uno spazio speciale ha avuto nel 2017 un album: Uomo Donna di Andrea Laszlo De Simone. Pubblicato dalla label indipendente 42 Records, il disco è entrato in numerose classifiche dei “Migliori album italiani 2017”, ma soprattutto è entrato nei discorsi, pensieri e playlist di molti esploratori indomiti dell’attuale universo sonoro alla ricerca di canzoni/vibrazioni non scontate. Soprattutto di autori capaci di sorprendere e, insieme, rassicurare – preferibilmente live – sull’autenticità di progetti musicali ispirati dalla sana e poetica voglia di fare musica, non dettata da narcisismo o logiche di mercato. Sicuramente il disco di Andrea è entrato anche nei cuori di alcuni di Radionovaions97, in particolare il brano “Fiore mio” ( es. alla prima messa in onda ci hanno contattato molti radioascoltatori per saperne di più). Abbiamo, così, deciso di contattare il cantautore torinese per rivolgergli qualche domanda per scoprire qualcosa in più su di lui: è stato imprevedibile e senza filtri, come la sua musica.
Radio: Il tuo album “Uomo donna” è nato in collaborazione con la label romana 42 Records che – dopo l’autoproduzione di Ecce Homo – con questo disco ti ha proiettato tra le più interessanti personalità della nuova musica d’autore italiana. Come è nato questo progetto?
Andrea: E’ nato tutto quasi per caso. Intanto è un caso che abbia deciso di registrare questo disco, poi è un caso che Giuseppe Lo Bue abbia deciso di produrlo insieme a me. Abbiamo autoprodotto il disco registrando in autonomia e mettendoci circa un paio d’anni (part-time). Non sono mai stato interessato a pubblicare e conservo la gran parte delle produzioni a casa mia, perché è per me che “faccio” le canzoni. Io non sono un grande ascoltatore, né in generale un grande appassionato di musica o dei meccanismi che regolano l’ambiente, quindi in realtà non sapevo neanche che esistesse la 42 records. A disco finito ho incontrato Emiliano Colasanti e Giacomo Fiorenza e mi sono convinto a provare a far “uscire” l’album insieme a loro, ma senza alcuna aspettativa. Anzi, con un po’ di paura dato che ho una famiglia a cui badare.
R: Sei impegnato ora con la tua band in un tour nazionale: dopo il consenso della critica ti stai confrontando con quello più importante per un musicista: l’entusiasmo del pubblico che ti segue sempre più numeroso nei live (ndr. Miglior live di dicembre 2017 secondo KeepOn Live). Ti sei fatto un’idea di qual è il profilo del pubblico che ti segue, dei tuoi fans?
A: Ammetto di non essere bravo a categorizzare, nel senso che mi sembrano tutte persone diverse fra di loro, alcuni più giovani e altri meno, alcuni biondi e alcuni bruni, alcuni bassi e alcuni alti…non saprei come rispondere. Ma devo dire che molti di loro sono musicisti.
R: Quali sono le reazioni, i commenti più frequenti a fine concerto?
A: I commenti per fortuna in media sono positivi e succede spesso che, a fine concerto, io e il resto della band passiamo la serata insieme a nuovi amici. E’ successo che ogni tanto qualcuno mi regalasse qualcosa, ad esempio un disegno, un ritratto e sono cose che ti rendono felice. Una delle cose più belle che mi sono successe è veder arrivare al concerto un gruppo di ragazzi e ragazze con in petto affisso un fiore colorato, ognuno di un colore diverso, con scritto sopra “Fiore mio”…inevitabilmente è successo che, poi , siamo diventati amici.
R: Quando non suoni, come è una tua giornata tipo?
A: Sono un padre…le mie sono giornate da padre orgoglioso.
R: Proponete delle cover durante i live? Quali?
A: No, non facciamo nessuna cover, non è proprio nelle nostre corde e a dire il vero non ho mai imparato a suonare una canzone che non fosse mia… ma è successo che a causa di un problema tecnico abbiamo dovuto sospendere un concerto per un paio di minuti e lì mi è scappato di canticchiare senza musica “Che cosa sono le nuvole” di Modugno e Pasolini…un vero capolavoro, una delle poche canzoni di cui conosco titolo e autori.
R:Lo scorso novembre hai presentato il nuovo videoclip di Sogno l’amore ( il video è alla fine) al Torino Film Fest. Diretto da Francesca Noto e da te, che hai anche firmato il montaggio, il video è caratterizzato da un bianco e nero denso di pathos, con scene che evocano un Sud poeticamente ancestrale, mitico. Come è nata l’idea di questo corto?
A: L’idea mi è venuta per caso guardando un cortometraggio di Francesca Noto che è la sorella di una mia cara amica, Ivana Noto. In questo corto molto raffinato che si intitola “Due punti” c’era un volto di uomo talmente vero e verace da essere irresistibile. In quel momento ho pensato di voler fare il video di “Sogno l’amore” con lui. Fortuna ha voluto che si trattasse del padre di Ivana e Francesca, Vincenzo Noto, di Agrigento. In quel periodo era quasi Pasqua e ad Agrigento si sarebbe tenuta la tradizionale processione religiosa, ma io stavo finendo di realizzare il video di “Vieni a salvarmi” insieme a Gabriele Ottino e Paolo Bertino e non potevo andare in Sicilia. Ovviamente non volevo assolutamente perdermi la possibilità di riprendere la processione e Vincenzo. L’idea ruotava tutta intorno a quei due elementi. Per cui ho chiesto a Francesca, conoscendo le sua capacità, di fare lei le riprese per me.E’ s tata proprio lei poi a propormi l’idea di inserire anche sua madre nel video. Insomma un enorme ringraziamento va alla disponibilità di Ivana, Francesca e dei loro genitori.( ph. Ivana Noto)
R: Tu sei di Torino, ma nel video pare emergere un legame particolare con il Sud: c’è un motivo specifico?
A: Beh…io sono figlio di una donna “Pugliese/Abruzzese” e di un uomo “Calabro/Milanese”, entrambi vissuti a Roma. Ho passato una parte d’infanzia diviso fra Roseto Degli Abruzzi e Torino…e comunque il mio cuore è a Roseto. Non so se sto rispondendo alla tua domanda, quindi per esserne certo, ti dico che pur vivendo bene a Torino io amo il sud Italia e amo molto come mi sento quando sono giù. Mi sento meglio.
R: La critica si è spesa molto nel rintracciare i tuoi modelli sonori di riferimento: da Battisti ai Beatles, dal Prog al cantautorato anni 70, passando dai Verdena ai Radiohead…Ritieni che nel tuo personalissimo immaginario vadano citate altre ispirazioni che hanno lasciato impronte specifiche?
A: Dunque, non è semplice da spiegare…ma io non fruisco normalmente delle cose. Provo a farmi capire. Non leggo nulla da almeno una decina d’anni, e credo comunque di avere letto al massimo 5 libri in vita mia di cui non ricordo niente, non ascolto musica e molto raramente ricordo i titoli o gli autori delle canzoni, non compro dischi eppure come chiunque sono figlio di tutto quello che mi circonda. Ma credo di essere particolarmente distratto, o forse ho l’Alzheimer. Più semplicemente ho un modo particolare di recepire ed archiviare le informazioni dal mondo. Per cui non so se si possa parlare di modelli di riferimento, perché effettivamente io non ne ho, ma sono convinto che chi cita un nome piuttosto che un altro abbia ragione a farlo perché sicuramente di musica ne sa molto più di me.
R: L’architettura sonora del disco Uomo/Donna è abbastanza singolare: 12 tracce con canzoni che vanno dai 4 ai 12 minuti circa, molto fuori standard per la media d’ascolto contemporanea …soprattutto poco funzionale per i passaggi in radio ;). Una struttura diversa rispetto alle 14 canzoni di Ecce Homo. Come tracceresti, in sintesi, la tua evoluzione d’autore rispetto al primo disco e quali sono delle differenze che ritieni più significative tra le due opere?
A: Guarda è molto semplice. “Ecce Homo” è figlio di un’iniziativa di Edoardo Karim, un mio grandissimo amico che mi ha regalato un computer ed un microfono perché voleva ascoltare delle canzoni ed io le ho registrate con una tastiera per bimbi e niente altro, usando delle sedie per fare la batteria e cose così. Per “Uomo donna”, pur essendo stato comunque registrato in casa, ho avuto a disposizione 5 musicisti, una strumentazione più consona e un fonico. Se rifacessi le canzoni di “Ecce Homo” con tutto questo probabilmente le differenze sarebbero più sottili. Il concetto però è rimasto lo stesso…erano dischi non destinati ad essere pubblicati e realizzati per ragioni private, non per andare in radio e nemmeno per essere ascoltate dal vicino di casa. E, comunque, non farei mai una canzone corta perché così poi va in radio, trovo che sia una logica assurda. La canzone deve rispettare la propria catarsi e l’intenzione di chi la scrive. Non il pubblico o la radio: i canoni sono talmente precisi ormai che se tutti li rispettassero alla lettera farebbero tutti la stessa identica canzone. Saranno pure canoni, ma non sono dettami di regime. E’ giusto che ognuno continui a fare ciò che vuole e a ricercare. Detto fra noi, le radio potrebbero avere un po’ di coraggio in più…insomma, si tratterebbe solo di trasmettere una canzone “lunghetta”, non un assolo di bestemmie. Che problema c’è se qualcuna è più lunga e qualche altra più corta? Sarò matto io, ma proprio non capisco. Ad ogni modo una differenza vera fra il mio primo e il mio secondo disco c’è: quando ho fatto “Ecce homo” non ero padre.
R:stai già pensando O lavorando a nuovi progetti ?
A: Non ho mai smesso un secondo….
Valentina Scuccimarra